martedì 28 ottobre 2014

La pistola fuciletto è un fucile da caccia?

Il caso di cui parlerò è nato per la pistola fuciletto Serena 32. 
Si tratta di un mono colpo con impugnatura a pistola, canna liscia, impugnatura estensibile, cal. 32.
La Cassazione penale (sent. 18150 del 4 aprile 2014) ha esaminato il caso di una persona che si era ferito (in zona di caccia) infilandosi nella cintura il fucile da cui è partito un colpo.
Gli era stato contestato il porto abusivo d'armi in quanto la licenza di caccia non era sufficiente per giustificare il porto di un'arma che doveva considerarsi pistola.
La Corte d'Appello di Brescia

aveva confermato la sentenza del Tribunale,  condannandolo con riduzione della pena.
L'imputato si nera rivolto in Cassazione dicendo che la pistola fuciletto era da considerarsi a tutti gli effetti un fucile da caccia. Aveva prodotto una consulenza di parte in cui il consulente aveva affermato che l'arma, a canna liscia e munizione spezzata, era da considerarsi un fucile, anche per la possibilità di inserire un calciolo estensibile.
La difesa sosteneva poi che non era contestabile il reato di porto abusivo d'arma ma al massimo l'esercizio della caccia con mezzi non consentiti.
Il problema di fondo era quello di stabilire se la pistola fuciletto Serena 32 fosse un fucile da caccia o una pistola. Nel secondo caso la licenza di porto d'armi ad uso di caccia non sarebbe stata idonea per il porto di una pistola (carica).
La Cassazione ha ritenuto applicabile la direttiva del Consiglio della Unione Europea 18 giugno 1991  (91/477CEE), modificata dalla Direttiva 2008/51/CE, per la quale (punto IV dell'all. I) si intende per arma da fuoco corta un'arma da fuoco la cui canna ha una lunghezza inferiore ai 30 cm, oppure la cui lunghezza totale non supera i 60 cm. Per la medesima direttiva si intende per arma da fuoco lunga qualsia arma diversa dalle armi da fuoco corte.
La Suprema Corte ha ritenuto l'arma in esame corta in quanto la lunghezza della canna è di cm 27, quindi inferiore al limite di 30 cm.

sabato 25 ottobre 2014

I silenziatori sono consentiti?

Quello dei silenziatori è uno dei più grossi problemi pratici.
C'è un enorme contrasto tra quelle che sono logica e corretta interpretazione giuridica e la giurisprudenza della Cassazione.
Una bella disquisizione giuridica è contenuta a pag. 700 del Codice delle Armi e degli Esplosivi del giudice Mori (ed. 2014).
Vi si legge che la legge italiana non si è mai occupata dei silenziatori che peraltro sarebbero di libera produzione e detenzione.
Si ricorda che i silenziatori per armi di piccolo calibro sono di libera vendita in Francia, Austria, Svizzera.
Esiste una circolare del 1939 (ribadita poi fino a quella 14.1.1996) del Ministero dell'Interno in cui si fa divieto di produrre e vendere i silenziatori. Tale circolare però può obbligare sul piano amministrativo solo i titolari di licenze di polizia: un armiere non può quindi produrre o vendere silenziatori.
La Convenzione di Strasburgo ratificata con la legge 8 maggio 1989 prevedeva che i silenziatori avessero lo stesso regime giuridico delle armi su cui andavano applicati. Tale convenzione però non ha mai avuto norma di attuazione.
L'art. 4 della legge 2 agosto 1967, n. 799, sulla caccia ha stabilito che per la caccia non si possano usare i silenziatori.
Sembrerebbe quindi che per altri usi si possano usare. Quello che non è proibito è lecito.
Del resto avrebbe una logica i silenziatori in poligono per evitare l'inquinamento acustico ad esempio (salvo difficoltà tecniche). O comunque potrebbe essere un legittimo divertimento montarli sulla propria arma, sempre in poligono. 
Eppure non c'è da stare tranquilli.
Del tutto contestabilmente anche da un punto di vista tecnico, la Cassazione ha più volte stabilito che si ha alterazione d'arma quando viene realizzata una filettatura per applicarvi un silenziatore. In questo modo si avrebbe un aumento della potenzialità d'offesa dell'arma (Cass. I, 8.9.1982 n. 7835; Cass. I, 27 maggio 1985, n. 5202; Cass. I, 29.12.1988, n. 12867).
E' vero che la Cassazione trascura che la filettatura non è detto serva solo per i silenziatori ma la giurisprudenza ad oggi così è.
Una sentenza del 18 aprile 1977 (Cass. I sez.) ha stabilito che il reato di cui all'art. 3 della legge 110/1975 sia configurabile anche quando non ci stata una filetattura ma il silenziatore sia applicabile in altro modo (innesto a baionetta).
Lo stesso silenziatore è stato definito parte d'arma, quindi con tutta la normativa per le armi dalla sentenza Cass. pen. I sez., 12.12.2002, n. 41704.
"Agli effetti della legge penale costituisce parte di arma non solo ogni parte strettamente necessaria a rendere l'arma stessa atta allo sparo, ma anche quella che contribuisce a rendere l'arma più pericolosa per volume di fuoco o rapidità di sparo, precisione di tiro e simili, ovvero più insidiosa, sempre che essa, pur avendo una sua autonomia funzionale, si presti a una ricomposizione con l'arma mediante un procedimento di facile e veloce effettuazione, di guisa che risultano penalmente irrilevanti solo le parti di mera rifinitura od ornamento, non aventi cioè riflesso alcuno, né diretto, né indiretto, sul funzionamento e/o sulla pericolosità dell'arma al momento della sua utilizzazione. (Nella specie è stata ritenuta parte di arma un silenziatore in quanto tale, indipendentemente dall'accertamento della sua riferibilità a un'arma specifica)."

sabato 18 ottobre 2014

Le armi e le pubbliche riunioni


L'art. 4 della legge 110/1975 proibisce di portare armi, proprie o improprie, in una riunione pubblica.

Il divieto vale anche per chi ha il porto d'armi.
La ragione è quella di tutelarsi dal pericolo che chi ha l'arma possa minacciare o aggredire o che magari possa essergli sottratta l'arma per usarla nel contesto.
Si ritiene infatti che la presenza di un'arma in un contesto affollato sia fonte di pericolo.
Per arma si può intendere anche un bastone, un coltello, una  accetta, tipiche armi improprie.
Il reato previsto dalla norma comporta le pene seguenti:
a) arma impropria, arresto da due a diciotto mesi ed ammenda da € 103 a € 413;
b) arma propria bianca o da sparo, da parte di chi è titolare della licenza di porto d'armi, arresto da 4 a 18 mesi ed ammenda da € 103 a 413;
c) arma propria bianca o da sparo, da parte di chi non ha la licenza di porto d'armi, arresto da uno a tre anni ed ammenda da € 206 a 413.
La riunione pubblica che viene immediatamente in mente è il comizio politico.
Quella forse più frequente è la partita di calcio.
La Corte di Cassazione Penale sez. I (16 dicembre 1982, n. 11589) ha ritenuto che ci sia pubblica riunione non solo dentro lo stadio ma anche nell'assembramento che si forma prima dei cancelli o nello spazio tra i cancelli ed il settore riservato al pubblico.
Perchè una riunione sia pubblica ai sensi dell'art. 4 della legge 110/1975 occorrono tre condizioni:
1) che sia una riunione, vale a dire una cosa programmata e non l'incontro occasionale di più persone;

2) che si tratti di una riunione da considerarsi pubblica per il luogo in cui è tenuta, per lo scopo o il suo oggetto insomma che abbia carattere di riunione non privata. Non può quindi considerarsi pubblica la riunione di un circolo di iscritti ai Lions in un ristorante, anche se si tratta di 300 persone;

3) che per il suo ogetto o per circostanzerelative al tempo, alle persone, al luogo dello svolgimento, lapubblica riunione abbia attitudine, secondo un criterio di normale prevedibilità a determinare disordini (Cass. Pen. sent. 22 febbraio 1983, n. 1913). Per questo si è considerata pubblica riunione una partita di calcio.


lunedì 13 ottobre 2014

Il Consiglio di Stato su come si custodiscono le armi.


Il 16 luglio 2014, il Consiglio di Stato ha emesso una interessantissima sentenza sulla custodia delle armi.

Il Questore ed il Prefetto di Roma avevano revocato la licenza ad uso di caccia e emesso il divieto di possesso di armi.
Il provvedimento è stato emesso a carico di un soggetto il cui fratello si era suicidato proprio usando uno dei suoi fucili.
Oltre questo, anche prima del suicidio, la Questura aveva diffidato la persona a custodire le armi e munizioni in modo che non potessero entrarne in possesso estranei o altri appartenenti alla famiglia. 
Le armi devono infatti essere custodite in modo che non ne possano entrare in possesso nemmeno gli altri componenti della famiglia.
Il diffidato non aveva provveduto.
Sta di fatto che, subito dopo il suicidio, i Carabinieri avevano trovato varie armi sparse per casa.
La casa era chiusa per gli estranei ma i familiari (come il fratello suicida) potevano accedere anche da un ingresso che dava sull'azienda agricola di famiglia.
Il titolare del porto d'armi si era giustificato dicendo che normalmente le armi erano chiuse in un armadio ben chiuso; alla porta della stanza era applicato normalmente un lucchetto, sosteneva.
La sentenza rileva che di fatto era stato possibile per il fratello prendere il fucile e suicidarsi. 
Non conta quindi che "normalmente" si tengano le armi ben chiuse (magari nella cassaforte).
Si è responsabili anche per il fatto di un momento, ad esempio se si lascia l'armadio aperto ed un figlio gioca con la pistola (o lo fa un ospite).
Bisogna che la custodia delle armi sia fatta correttamente "sempre" non "normalmente". Bisogna prevedere anche il caso eccezionale.
Nemmeno da considerare il fatto di chi, ad esempio, lascia i fucili in macchina per il pranzo in trattoria dopo la caccia ...
L'autorità di P.S. ha un potere discrezionale (art. 39 e 43 del t.u.l.p.s.) che non è nemmeno vincolato da eventuali provvedimenti giudiziari favorevoli al titolare del porto d'arma. Nel caso specifico infatti la persona era stata denunciata per omessa custodia di armi e il processo era stato archiviato.

Altro principio fondamentale stabilito dalla sentenza è che, proprio per il potere discrezionale, nulla vieta all'autorità di P.S. di dare di nuovo porto d'armi e/o permesso di detenzione qualora il soggetto dimostri in futuro la sua affidabilità.

Questa ultima parte della motivazione mi lascia perplesso perché non so proprio come un soggetto possa dimostrare la sua successiva affidabilità, almeno non in tutti i casi.
L'unico caso positivo che mi viene in mente è quello di un tossicodipendente che possa dimostrare di essersi completamente disintossicato ed aver cambiato vita.
Nel caso esaminato dalla Corte dei Conti non so proprio come la persona (cui è stato vietato di detenere armi) possa in futuro "dimostrare" che è diventato "affidabile".
E' anche vero che molte sentenze sembrano permissive nel momento in cui ad esempio dicono che è lecito tenere le armi in un armadio non blindato. Nel momento in cui però concretamente qualcuno se ne impossessa se ne ricava in automatico che la custodia era insufficiente.

sabato 11 ottobre 2014

Per aprire un poligono non serve autorizzazione

In questo stesso blog abbiamo pubblicato un post nel quale informavamo di una sentenza della Corte di Cassazione penale per la quale non occorre l'autorizzazione per aprire un poligono di tiro (post sulla sentenza).
La sentenza non era pubblicata su internet nonostante la sua importanza.
Ora la pubblichiamo qui. Chi vuole può scaricarla inserendo nome e mail nel modulo che segue.
E' importante sottolineare che si può aprire un poligono senza bisogno di autorizzazione comunale solo quando il punto dove lo si apre sia assolutamente sicuro per l'incolumità dei terzi.

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Per avere dei chiarimenti, scrivetemi: umberto@avvocatochialastri.it