giovedì 9 febbraio 2017

Basta una querela falsa per farci perdere il porto d'armi?

La domanda sembra strana ma non lo è.
Basta leggere la sentenza del  Consiglio di Stato,  n. 3329 25 luglio 2016.
Contro Tizio era stata presentata una querela per ingiurie, lesioni e minacce gravi.
A seguito della querela (cioè di un atto di un altro privato) a Tizio, il Prefetto di Bari gli ha vietato di detenere armi.
I TAR della Puglia ha confermato tale decisione e lo stesso ha fatto il Consiglio di Stato, con la sentenza indicata.
Il Consiglio di Stato ha scritto che "Invero il titolare di licenza di p.s. è tenuto, come dianzi esposto, a tenere un comportamento ancor più rigoroso di quello richiesto comunemente ad altre persone ed anche una sola querela, per reati di una certa rilevanza e gravità quali quelli di cui trattasi, può giustificare un provvedimento di divieto di detenzione di armi alla luce proprio delle disposizioni del T.U.L.P.S. e della stessa citata circolare ministeriale."
Tizio aveva presentato una controquerela (ma solo dopo il provvedimento prefettizio) ma questo non è stato sufficiente per il Consiglio di Stato. Ha infatti affermato solo che se - in seguito alla controquerela - uscisse una sentenza che dichiara che i fatti di cui fu accusato Tizio erano falsi, Tizio potrebbe chiedere la revoca del provvedimento restrittorio.
In chiusura riporteremo gran parte della motivazione della sentenza.
La sentenza così come è fatta è viziata da una mentalità di fondo errata.
Tanto per cominciare se uno ci vuole male e ci querela dicendo il falso non vedo proprio perchè questo debba essere sufficiente a farci perdere i permessi in materia di armi.
Faccio l'avvocato da tanto tempo e ho visto anche querele e denunce del tutto false, fatte al solo scopo di danneggiare o estorcere denaro.
Sarebbe stato quindi logico e giusto specificare che, in presenza di una querela, l'autorità amministrativa aveva il diritto ed il dovere di esaminare la situazione e decidere ma non sulla sola lettura della querela ma sull'esame dei fatti concreti! Perlomeno per come appaiono a prima vista, magari ascoltando dei testimoni o valutando prove o indizi sommari o perlomeno che deduzioni che prescindono da quanto esposto dalla controparte.
Il concetto di fondo sembra sempre il solito: tu cittadino non hai alcun diritto di avere un'arma. Io Stato te lo posso concedere solo se mi va e quando mi va. 
In pratica il concetto di base diventa quello che se vuoi conservare il diritto di avere un vecchio fucile da caccia, se ti sputano in faccia ringrazia, se trovi tuo marito o tua moglie che fa sesso nel tuo letto, ringrazia e chiudi la porta, se ti pestano come un tamburo porgi l'altra guancia (se ancora non te l'hanno sfregiata).
Tutto questo è più attinente al Vangelo ed alla santità che non alla condotta di vita corretta che - giustamente deve avere - chi ha una autorizzazione in materia di armi!
Esattamente il contrario di quanto succede negli USA dove al primo posto non c'è lo Stato ma la Libertà, il cittadino (con tutte le differenze del caso, ovviamente).
Anche se questa volta la Magistratura non ha fatto una bella figura, rimane tuttavia il fatto che contro gli abusi eventuali di Prefettura e Commissariati esiste una unica strada, quella del ricorso giudiziale. Mugugni e lamentele non servono assolutamente a nulla se poi si traducono in una accettazione di ingiustizie.
Altre volte la Magistratura ha dato segno di notevole equilibrio e ne abbiamo scritto più volte in questo blog. Ricordo la Cassazione che ha fatto, ad esempio, marcia indietro sui coltelli ad apertura bloccabile (prima considerati come pericolosi pugnali e poi riabilitati).
Riportiamo ora il brano della decisione del Consiglio di Stato: sono parole di per se' giuste ma carenti per quello che abbiamo rilevato sopra.
"E’ indubbio che la disciplina delle licenze di p.s. pone un rigoroso quadro normativo ispirato al possesso della buona condotta e all’affidabilità nell’uso delle armi, la cui valutazione è rimessa all’autorità di p.s. alla luce di un complessivo giudizio connotato da lata discrezionalità, oltreché in sede di rilascio, anche in sede di rinnovo e permanenza del titolo nel tempo; ed è vero anche che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, le situazioni degli interessati devono essere vagliate non già in astratto ma in concreto, sulla base di un’adeguata istruttoria e congrua motivazione, rapportate al momento della valutazione e agli elementi in concreto acquisiti.
Ciò vale anche per quella di cui trattasi, collegata alla tutela della pubblica e privata incolumità connessa proprio all’uso delle armi e quindi al possesso di requisiti soggettivi di specifica affidabilità e di dimostrato bisogno, per cui il Prefetto ha un potere ampiamente discrezionale nel valutare con il massimo rigore qualsiasi circostanza che consigli l’adozione del provvedimento di divieto o di revoca della detenzione dell’arma, in quanto la misura restrittiva persegue la finalità di prevenire la commissione dei reati e, in generale, di fatti lesivi della pubblica sicurezza, con la conseguenza che il detentore deve essere persona esente da mende o da indizi negativi.
Orbene, ad avviso del Collegio, il provvedimento de quo contiene gli elementi indispensabili, in fatto e in diritto, per configurare la fattispecie all’esame, e la Sezione condivide le puntuali argomentazioni già svolte dal giudice di prime cure, che, dopo aver richiamato il contesto normativo e giurisprudenziale, ha sottolineato, come detto, la correttezza della valutazione effettuata dall’Amministrazione sia pure alla luce di una sola querela.
Invero il titolare di licenza di p.s. è tenuto, come dianzi esposto, a tenere un comportamento ancor più rigoroso di quello richiesto comunemente ad altre persone ed anche una sola querela, per reati di una certa rilevanza e gravità quali quelli di cui trattasi, può giustificare un provvedimento di divieto di detenzione di armi alla luce proprio delle disposizioni del T.U.L.P.S. e della stessa citata circolare ministeriale."







venerdì 3 febbraio 2017

Trump vuole che i malati di mente siano armati?

Le cose non stanno esattamente come dice il titolo.
Non si tratta di una decisione del Presidente Trump ma della maggioranza della Camera dei Deputati USA, che ha votato il 2 settembre 2016.
L'amministrazione del presidente Obama aveva emanato una legge per la quale si doveva controllare se un proprietario di armi avesse problemi mentali, ai fini del diniego di detenere le armi stesse.
I deputati americani hanno votato, con una decisa maggioranza (230 contro 180) la revoca di detta legge.
La legge, per diventare definitiva, dovrà prima essere approvata dal Senato e poi essere firmata dal presidente Donal Trump.
In base alla legge Obama sono state controllate circa 75mila persone, persone che ricevono indennità statali per disabilità mentale.
Esiste una ragione per questa revoca che può apparirci irragionevole?
I parlamentari repubblicani sostengono che i controlli vadano revocati perchè il loro effetto è quello di rinforzare gli stereotipi negativi che descrivono le persone con disordini mentali come pericolose. Per il repubblicano Bob Goodlatte, infatti:
“Una volta che un burocrate che non è stato eletto inserisce queste persone del sistema federale di controlli, non è più possibile per loro esercitare il diritto previsto dal secondo emendamento”
.
Aggiungo personalmente (e con riferimento anche alla situazione italiana) che non sempre la disabilità mentale è tale da rendere sconsigliabile la detenzione di armi: dipende dal tipo di disabilità mentale.
Per i cittadini americani il problema ha pesanti risvolti costituzionali. Il II emendamento della loro Costituzione afferma che il possedere armi è un diritto dei cittadini.
In Italia, possedere armi  non è un diritto ma una licenza, una autorizzazione che lo Stato può darci (o negarci) a suo piacimento.
Si può discutere di cosa sia giusto o meno ma è innegabile che negli USA l'accento è posto sulla libertà dei cittadini, in Italia sull'Autorità dello Stato.

Litigare con la Guardia di Finanza ci fa perdere le armi?

Il Consiglio di Stato ha emanato un'altra sentenza molto interessante, (SEZ. III, sent. 7 luglio 2016, n. 3010): si discute sul tema dei motivi in base ai quali si può negare il porto d'armi o revocare quello già concesso, o l'autorizzazione a detenere armi.
La sentenza è interessante per gli effetti (non scontati) di una sentenza di assoluzione.
Il fatto è questo
Tizio, regolarmente in possesso di porto d'armi, subisce una perquisizione della Guardia di Finanza. La perquisizione è in ufficio e contemporaneamente a casa.
Ai finanzieri che ha davanti lui profferisce, secondo l'accusa: "le minacce di esibire delle armi e di far punire in sede disciplinare e/o penale gli ufficiali di polizia giudiziaria.... per opporsi alle attività di perquisizione da loro eseguite".
Tizio dice anche alla moglie, telefonicamente, "sparagli alle gambe", riferito ai finanzieri che stavano perquisendo casa.
La questura revoca l'autorizzazione di detenere le armi e non rinnova il porto d'armi di pistola; questo perchè Tizio era stato rinviato a giudizio per il diritto di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p.
Il Tribunale Penale ha poi assolto l'imputato non ritenendo sussistente il reato di resistenza. 
Ad onor del vero va precisato che il Tribunale Penale ha assolto per motivi formali ed anche strettamente inerenti il solo reato contestato; non nega però che le circostanze di fatto contestate fossero corrette: ritiene, in altri termini, che l'imputato avesse veramente pronunciato quelle parole ma che il fatto di averle pronunciate non costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Il provvedimento di diniego è impugnato davanti al TAR / Consiglio di Stato. Si afferma che deve essere concesso il porto d'armi in quanto Tizio è stato assolto nel processo penale.
Un primo rilievo è che è stato ritenuto legittimo revocare il porto d'armi sulla base di un rinvio a giudizio e non su una condanna.
Questo può sembrare strano ed è di per sé un principio pericoloso perchè in pratica  viene "punito" un soggetto che per la legge è ancora innocente.
E' un modo di procedere che si può prestare ad abusi ed errori ma ha una sua logica. Questo anche in riferimento agli artt. 39 e 43 del Regio Decreto n. 773/1931 (Testo Unico Pubblica Sicurezza).
Le autorizzazioni in materia di armi vengono concesse a chi dia garanzie di servirsene con il massimo della correttezza. In questo senso anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 2158/2015, per la quale l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi possono essere concesse a chi osservi "una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza".
In pratica il diritto penale e quello amministrativo (inerente la concessione delle licenze) non viaggiano sempre sullo stesso binario. Si può negare l'autorizzazione a detenere una pistola a una persona che non abbia mai avuto condanne penali ma che per esempio abbia un deficit psicologico oppure si sia comportato in modo contrario alle regole della civile convivenza.
Nel nostro blog abbiamo riportato una decisione nella quale veniva revocata la licenza di caccia ad un soggetto che, avendo un problema con i carabinieri, si era messo a discutere aspramente ed in modo ingiustificato e troppo acceso con loro.
Quindi chi litiga con i vicini o con i familiari può benissimo vedersi revocato il porto d'armi.
E' un concetto pericoloso nell'applicazione ma ha delle ragioni. Si tratta solo di vedere nei casi concreti se ci sia stato abuso.Del resto va sempre ricordato che le armi sono di per sè pericolose (come i coltelli da cucina...). Se la Polizia ha il sentore che si possa commettere un abuso, non può certo aspettare che ci sia una condanna penale... anni dopo ... prima di levare le armi.
Uno degli ultimi casi che mi è capitato riguarda un signore, peraltro tranquilla ed ottima persona, aveva litigato con la moglie ed era uscito da casa minacciando di suicidarsi. La PS gli aveva immediatamente sequestrato le armi e lo aveva portato al CSM per una valutazione delle sue condizioni psichiche. In questo caso particolare si è scoperto che in effetti la litigata era occasionale e che non esistevano problemi di rilievo. 
Tuttavia il principio in sè è comprensibile e la PS ha agito in modo logico.
Purtroppo - ed anche questo va detto - la Forza Pubblica non agisce nello stesso modo in tanti altri casi, anche più gravi.
Nella mia esperienza è capitato di vedere che quando un tizio si è visto occupare la cantina da un delinquente che voleva trasformarla in abitazione per affittarla, invece di vedere i Carabinieri agire si è visto solo quasi mettere in stato di accusa perchè aveva rotto il lucchetto abusivo. Va precisato che il fatto era avvenuto in un paese e tutti sapevano di chi fosse realmente la cantina.
Un'altra volta ho visto Carabinieri e medici del CSM presentarsi a casa di una persona con problemi mentali (e ritenuta pericolosa per sè e gli altri) per andarsene via solo perchè il cancello era chiuso (non a chiave).
Vorrei quindi vedere la stessa decisione in tanti altri casi, non solo quando si tratta di armi...
Per quello che riguarda i rimedi concreti, il cittadino ha sempre la possibilità di opporsi davanti il Prefetto ed il TAR. A parte i problemi di tempo, spesso i TAR o il Consiglio di Stato hanno condannato l'operato della PS.
La sentenza  3010/2016 ha quindi ribadito il principio per il quale l'accertamento amministrativo non deve per forza coincidere con quello penale. 
Del resto, in altri casi e in senso parzialmente favorevole al cittadino, si è ritenuto che una sentenza di condanna penale - in presenza di riabilitazione - non possa costituire ostacolo automatico al rilascio della licenza. In altri termini il principio è sempre che si debba esaminare il caso concreto ed attuale (nel bene come nel male) in assenza di preclusioni automatiche.
Chiudo questo post con la trascrizione di una parte della sentenza del Consiglio di Stato; vengono distinte le ipotesi in cui deve essere negato il porto d'armi in ogni caso da quelle in cui esiste discrezionalità.
"...emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l'Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell'art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell'art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell'art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell'art.39 e 43, secondo comma).
In relazione all'esercizio dei relativi poteri discrezionali, l'art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità "di abusarne", mentre l'art. 43 consente alla competente autorità - in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche - in alternativa - l'assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato: Cons. Stato, Sez. III, 1 agosto 2014, n. 4121; Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987)
."