venerdì 3 febbraio 2017

Litigare con la Guardia di Finanza ci fa perdere le armi?

Il Consiglio di Stato ha emanato un'altra sentenza molto interessante, (SEZ. III, sent. 7 luglio 2016, n. 3010): si discute sul tema dei motivi in base ai quali si può negare il porto d'armi o revocare quello già concesso, o l'autorizzazione a detenere armi.
La sentenza è interessante per gli effetti (non scontati) di una sentenza di assoluzione.
Il fatto è questo
Tizio, regolarmente in possesso di porto d'armi, subisce una perquisizione della Guardia di Finanza. La perquisizione è in ufficio e contemporaneamente a casa.
Ai finanzieri che ha davanti lui profferisce, secondo l'accusa: "le minacce di esibire delle armi e di far punire in sede disciplinare e/o penale gli ufficiali di polizia giudiziaria.... per opporsi alle attività di perquisizione da loro eseguite".
Tizio dice anche alla moglie, telefonicamente, "sparagli alle gambe", riferito ai finanzieri che stavano perquisendo casa.
La questura revoca l'autorizzazione di detenere le armi e non rinnova il porto d'armi di pistola; questo perchè Tizio era stato rinviato a giudizio per il diritto di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p.
Il Tribunale Penale ha poi assolto l'imputato non ritenendo sussistente il reato di resistenza. 
Ad onor del vero va precisato che il Tribunale Penale ha assolto per motivi formali ed anche strettamente inerenti il solo reato contestato; non nega però che le circostanze di fatto contestate fossero corrette: ritiene, in altri termini, che l'imputato avesse veramente pronunciato quelle parole ma che il fatto di averle pronunciate non costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Il provvedimento di diniego è impugnato davanti al TAR / Consiglio di Stato. Si afferma che deve essere concesso il porto d'armi in quanto Tizio è stato assolto nel processo penale.
Un primo rilievo è che è stato ritenuto legittimo revocare il porto d'armi sulla base di un rinvio a giudizio e non su una condanna.
Questo può sembrare strano ed è di per sé un principio pericoloso perchè in pratica  viene "punito" un soggetto che per la legge è ancora innocente.
E' un modo di procedere che si può prestare ad abusi ed errori ma ha una sua logica. Questo anche in riferimento agli artt. 39 e 43 del Regio Decreto n. 773/1931 (Testo Unico Pubblica Sicurezza).
Le autorizzazioni in materia di armi vengono concesse a chi dia garanzie di servirsene con il massimo della correttezza. In questo senso anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 2158/2015, per la quale l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi possono essere concesse a chi osservi "una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza".
In pratica il diritto penale e quello amministrativo (inerente la concessione delle licenze) non viaggiano sempre sullo stesso binario. Si può negare l'autorizzazione a detenere una pistola a una persona che non abbia mai avuto condanne penali ma che per esempio abbia un deficit psicologico oppure si sia comportato in modo contrario alle regole della civile convivenza.
Nel nostro blog abbiamo riportato una decisione nella quale veniva revocata la licenza di caccia ad un soggetto che, avendo un problema con i carabinieri, si era messo a discutere aspramente ed in modo ingiustificato e troppo acceso con loro.
Quindi chi litiga con i vicini o con i familiari può benissimo vedersi revocato il porto d'armi.
E' un concetto pericoloso nell'applicazione ma ha delle ragioni. Si tratta solo di vedere nei casi concreti se ci sia stato abuso.Del resto va sempre ricordato che le armi sono di per sè pericolose (come i coltelli da cucina...). Se la Polizia ha il sentore che si possa commettere un abuso, non può certo aspettare che ci sia una condanna penale... anni dopo ... prima di levare le armi.
Uno degli ultimi casi che mi è capitato riguarda un signore, peraltro tranquilla ed ottima persona, aveva litigato con la moglie ed era uscito da casa minacciando di suicidarsi. La PS gli aveva immediatamente sequestrato le armi e lo aveva portato al CSM per una valutazione delle sue condizioni psichiche. In questo caso particolare si è scoperto che in effetti la litigata era occasionale e che non esistevano problemi di rilievo. 
Tuttavia il principio in sè è comprensibile e la PS ha agito in modo logico.
Purtroppo - ed anche questo va detto - la Forza Pubblica non agisce nello stesso modo in tanti altri casi, anche più gravi.
Nella mia esperienza è capitato di vedere che quando un tizio si è visto occupare la cantina da un delinquente che voleva trasformarla in abitazione per affittarla, invece di vedere i Carabinieri agire si è visto solo quasi mettere in stato di accusa perchè aveva rotto il lucchetto abusivo. Va precisato che il fatto era avvenuto in un paese e tutti sapevano di chi fosse realmente la cantina.
Un'altra volta ho visto Carabinieri e medici del CSM presentarsi a casa di una persona con problemi mentali (e ritenuta pericolosa per sè e gli altri) per andarsene via solo perchè il cancello era chiuso (non a chiave).
Vorrei quindi vedere la stessa decisione in tanti altri casi, non solo quando si tratta di armi...
Per quello che riguarda i rimedi concreti, il cittadino ha sempre la possibilità di opporsi davanti il Prefetto ed il TAR. A parte i problemi di tempo, spesso i TAR o il Consiglio di Stato hanno condannato l'operato della PS.
La sentenza  3010/2016 ha quindi ribadito il principio per il quale l'accertamento amministrativo non deve per forza coincidere con quello penale. 
Del resto, in altri casi e in senso parzialmente favorevole al cittadino, si è ritenuto che una sentenza di condanna penale - in presenza di riabilitazione - non possa costituire ostacolo automatico al rilascio della licenza. In altri termini il principio è sempre che si debba esaminare il caso concreto ed attuale (nel bene come nel male) in assenza di preclusioni automatiche.
Chiudo questo post con la trascrizione di una parte della sentenza del Consiglio di Stato; vengono distinte le ipotesi in cui deve essere negato il porto d'armi in ogni caso da quelle in cui esiste discrezionalità.
"...emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l'Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell'art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell'art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell'art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell'art.39 e 43, secondo comma).
In relazione all'esercizio dei relativi poteri discrezionali, l'art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità "di abusarne", mentre l'art. 43 consente alla competente autorità - in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche - in alternativa - l'assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato: Cons. Stato, Sez. III, 1 agosto 2014, n. 4121; Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987)
."

Nessun commento:

Posta un commento