Gli investigatori privati italiani non sono forse come il Paul Drake dei film di Perry Mason, sempre alle prese con i casi di omicidio.
Svolgono però un lavoro delicato e rischioso.
Si da per scontato, nell'immaginario comune, che abbiano la pistola. Questo anche perchè spesso sono ex poliziotti o carabinieri. Per esercitare il loro lavoro devono avere una licenza rilasciata dalla Prefettura.
La realtà però è diversa. Ci sono delle questure che negano loro il porto d'armi per difesa personale se non esiste la dimostrazione concreta dei rischi specifici che corrono. In altri termini si è ritenuto che all'investigatore privato non spetti il porto d'armi solo per la sua professione.
Il TAR di Bologna (sentenza 617 del 2017, causa RG 450/2017) ha giustamente ritenuto che:"L'attività di investigatore privato per sua natura può esporre chi
la esercita a situazioni di pericolo anche perchè spesso deve agire in
modo clandestino per acquisire informazioni di parte di chi non desidera
certo favorire la raccolta di notizie che riguardino la sua vita.
Pertando
non avendo mai il ricorrente dato modo di dubitare della sua
affidabilità, salvo che non siano mutate radicalmente le condizioni di
svolgimento dell'attività lavorativa, appare contraddittorio non
rinnovare la licenza."Nel caso specifico l'investigatore, non avendo il rinnovo del porto d'armi, aveva perso il lavoro...
Ricordiamo quindi ancora una volta che l'unico sistema per ottenere ragione contor ingiuste decisioni delle Questure e Prefetture, è quello del ricorso al TAR.
Per avere una copia della sentenza gratuitamente scrivetemi alla mail umberto@avvocatochialastri.it .
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